di Giovanni Centracchio – Encrucijada*
Portolano
Da dove vengo io il mare non c’è. Leggere, discutere e ascoltare tanto sul Mediterraneo mi spinge a chiedermi in che modo possa parlarne, dal momento che da dove vengo io il mare non c’è. Quest’assenza me la rappresento come radicale. Rocchetta, che è il paese del Molise in cui sono cresciuto, si trova nella valle del fiume Volturno e precisamente alla sua sorgente. Qui si coltiva l’ulivo, si alzano muretti a secco, ma non sono tradizioni mediterranee o non si percepiscono come tali. Circondato da monti non molto più alti di 2000 metri, chi abita lì si sente come chiuso in un mondo autosufficiente. Solo il fiume scorre ed esce dalla valle. Probabilmente a un certo punto si getta nel mare, ma io fin da bambino di questo non me ne sono mai reso conto e nessuno me ne ha mai parlato. Il Volturno nasce a Rocchetta e dove vada poi a morire non è affare di chi ci abita. In altre parole, non c’è nella mia infanzia e nel resto della mia vita nessun rapporto intimo e sincero con il mare. Il problema del parlarne sta nel cercare di evitare un discorso troppo astratto o troppo romantico e nel riuscire a dire cosa possa mai significare in breve il Mediterraneo per uno che lo ha sempre visto solo come un posto di abbronzatura e feste in spiaggia o come un luogo di morte, una questione geopolitica.
Tra gli scrittori mediterranei, Ismail Kadarè ha delineato un mare assente a me particolarmente affine. Nel dialogo con Costanza Ferrini, Kadarè parla dell’Albania come di una «Cittadella sull’Adriatico» che un tempo era profondamente legata al mare, ma da un paio di secoli ha abbandonato la costa per arroccarsi sulle montagne e preservare la propria identità dalla dominazione culturale ottomana. In Molise esiste ancora una traccia vivente dell’antica Albania adriatica. Per una strana combinazione sulla costa ci sono borghetti marittimi in cui si parla l’arbëreshe: Campomarino (Këmarini), Montecilfone (Munxhufuni), Portocannone (Portkanuni) e Ururi (Rùri). Nella metà del XIV secolo il sud dell’Albania è approdato lì. Oggi ne resta la lingua, un po’ meno la tradizione. Se la costa è l’immagine di un’Albania perduta, l’entroterra richiama l’idea della Cittadella di Kadarè perché tutto il resto del Molise raramente intrattiene forti relazioni con l’Adriatico, soprattutto la regione in cui io sono cresciuto. Di nuovo: da dove vengo io il mare non c’è.
C’è un monte tra quelli che circondano la valle del Volturno che è particolarmente caro alle persone che la abitano. Si chiama Monte Marrone e ci si sale spesso a campeggiare, ma è anche tappa fondamentale di molti pellegrinaggi. Si tratta di un monte piuttosto basso nella catena delle Mainarde. Ce ne sono di più importanti, di più imponenti. Tutti dicono che da lì si vede l’intero Molise, ed è vero: Agnone, Campobasso, Isernia. Tutto il Molise tranne Termoli e i paesi della costa. Da lì si vede l’intera cittadella. Il mare non c’è.
Eppure, giunto a circa 1800 metri posso finalmente parlare del mare. Sulla cima di Monte Marrone inizia il piano che collega questa ad altre e più alte cime. Monte Marrone è la più modesta, come dicevo, la più facile da raggiungere, ma la cima più vicina è quella di un monte nudo e roccioso in buona parte franato in massi enormi. Eccolo lì il mare! Quella cima è Monte Mare. Non ci sono mai salito, ma chi lo ha fatto ha detto che da lì nelle giornate di cielo limpido si vede da un lato l’Adriatico albanese e dall’altro il Tirreno napoletano. Si tratta di piccole strisce sufficienti a portare il Mediterraneo in questo mondo chiuso. Ancora. Che cosa posso dire io del mare? Da dove vengo io il mare è solo il suo orizzonte. Un orizzonte che delimita la cittadella e ne segna il confine. In questo senso il Mediterraneo rappresenta le mura di una realtà chiusa alla quale invita a radicarsi. Non si tratta solo di questo, perché allo stesso tempo quelle strisce d’acqua chiudono e aprono il confine, sono una frontiera. Come orizzonte-frontiera il Mediterraneo di Monte Mare spinge a immaginare qualcosa che stia al di là, forse terre abitate da mostri come per la sensibilità antica che qui ha lasciato una traccia, oppure terre beate che chiamano al periplo, che spingono al viaggio. Così evaporato e ridotto il Mediterraneo diventa un interrogativo che non dà pace, perché non consente una risposta definitiva. Rimane qualcosa che erode la tranquillità della cittadella, perché la apre inevitabilmente all’Altro.
A questo punto un’ultima riflessione. Ho scelto di parlare in modo personale, ponendo al centro il mio sguardo o quello immaginario delle persone che vivono nei paesi in cui sono cresciuto. Mi domando in quali altri modi sia possibile parlare del Mediterraneo. Leggendo Braudel, Matvejević e Ferrini ho maturato l’impressione che il Mediterraneo mantenga sempre vivo l’interrogativo che pone da Monte Mare. Non si lascia definire, ma si lascia raccontare. Se l’ulivo e il muretto a secco ne rappresentano delle costanti storiche e materiali, le narrazioni che se ne fanno dalle – o delle – diverse coste aprono voragini e marcano differenze apparentemente inconciliabili. Sembra che non esista il Mediterraneo, ma sempre e solo un Mediterraneo. Forse potremmo fermarci qui su questo punto e dare pace alla frenesia definitoria del filosofo. Anche se credo che non possiamo abbandonare del tutto l’idea che si possa guardare questo mare come una frontiera. Dopotutto il Mediterraneo unisce e separa tutte le terre che bagna, diventando allo stesso tempo luogo stabile e di attraversamento. Chiude uno spazio di identificazione profonda e apre la via della ricerca della differenza e dell’alternativa. Anche questa, però, non può essere una definizione esaustiva – con buona pace per il filosofo – ma solo un’altra narrazione da un’altra costa o un altro monte.
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* Encrucijada, dal nome dal mitico bar del romanzo di Roberto Bolaño I detective selvaggi, è un gruppo di studio alternativo, nato ai margini del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino, nel 2019. Animata dall’interesse per il rapporto tra filosofia e letteratura, la ricerca del gruppo si è concentrata sullo studio della categoria di ‘Frontiera’, dando vita alla serie di incontri seminariali ancora in corso dal titolo Seminario Mediterraneo – Incontri sulla frontiera.
Il gruppo è coordinato da Andrea Baglione ed è formato da: Sara Brianti, Giovanni Centracchio, Marco Fornaseri, Martino Manca, Francisco Martín Cabrero e Valentina Maurella.